Ma la legge sul biologico è davvero a favore del Bio?

L’agricoltura biologica e biodinamica è una realtà diffusa e consolidata, la cui validità è comprovata da ricerche scientifiche, sperimentazioni e studi, nonché dalle pratiche di produzione, mercato ed utilizzazione da parte dei cittadini. La loro diffusione, più che un fenomeno meramente produttivo ed economico, è una speranza, per l’indubbia valenza ambientale, economica e sociale. Le polemiche pretestuose sull’agricoltura biodinamica di questi mesi, che si sono scatenate rispetto al  disegno di legge n. 988 (approvato nel 2021 al Senato ed in via di approvazione alla Camera), hanno contribuito a rendere sterile il dibattito nel merito delle norme che si stanno ormai approvando, distogliendo lo sguardo da alcuni importanti passaggi. Discuterne è invece una vitale necessità.

La rappresentanza dei produttori agricoli
Il disegno di legge prevede all’art. 14 che possano essere riconosciute organizzazioni interprofessionali (OI), che rappresentino una quota delle attività economiche pari almeno al 30% del valore della produzione della filiera biologica nazionale oppure di singoli prodotti o gruppi di prodotti. La soglia sale al 40% per organizzazioni interregionali e comunque deve costituire almeno il 25% del valore a livello nazionale.
Alle organizzazioni interprofessionali sono riconosciuti ruoli molto estesi ed incisivi, come la costituzione di fondi, contributi obbligatori, programmazione delle produzioni, che possono essere resi obbligatori per gli operatori aderenti ed estesi anche agli operatori non associati. Le nuove norme consentirebbero il riconoscimento di una sola organizzazione a livello nazionale, alla portata di un numero esiguo di grandi soggetti economici. Sono precluse organizzazioni di produttori locali, quelle maggiormente vocate ai mercati nazionali e ai sistemi distributivi locali.
Sempre in tema di “rappresentanza” il disegno di legge interviene con l’art. 15 ad estendere alle “associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale” la facoltà di stipulare, a nome delle imprese, accordi quadro con i distributori. Un ruolo fino adesso riconosciuto alle sole organizzazioni dei produttori (OP). Lo stesso articolo indica inoltre che gli stessi contratti debbano comportare, a favore dei produttori, “un corrispettivo pari almeno ai costi medi di produzione”. Si tratta di una pericolosa riformulazione del concetto di giusto prezzo  per i produttori agricoli, che passa dall’essere strumento volto a perseguire un reddito dignitoso per l’imprenditore e la sua famiglia, alla copertura dei “costi medi di produzione”.
In tema di rappresentanza dunque il disegno di legge mette in campo una specifica legislazione per il biologico, che accresce di molto il ruolo dei principali sindacati agricoli, che spesso in passato hanno assunto posizioni contrarie proprio allo sviluppo del biologico. Si veda ad esempio il contrasto alla strategia europea Farm to Fork, il sostegno ai “nuovi OGM” e i finanziamenti della produzione cosiddetta “integrata”.
Nella norma si privilegia un biologico delle filiere lunghe, con una profonda incapacità a leggere la preziosa originalità del bio, ovvero di essere presidio di essenziali valori ambientali, sociali, economici e culturali. Viene inoltre svilito il protagonismo dei soggetti direttamente impegnati nelle attività produttive e si pone così una preoccupante queste di democrazia.

Il marchio nazionale inutile ed illegittimo
Il disegno di legge introduce (art. 6) il marchio “biologico italiano”. La normativa europea delle produzioni bio obbliga già a dare indicazione dell’origine delle materie prime in etichetta, anche in riferimento ad un comprensorio, con tanto di severi requisiti sulla tracciabilità e la rintracciabilità. Il marchio collettivo pubblico “biologico italiano” contrasta (incredibilmente) con il diritto europeo, cioè con le norme previste in materia di denominazione di origine (Regolamento CE 510/06). In tal senso si sono espressi l’Istituto Nazionale di Economia Agraria e la DG VI del MIPAAF, che hanno più volte messo in guardia sulla legittimità dei marchi di origine dei prodotti biologici. E forse non è un caso che nessuno degli Stati membri europei lo ha ancora introdotto.

Le risorse economiche
Sotto il profilo delle risorse impegnate la legge in discussione non apporta novità sostanziali rispetto a quanto già esistente e non prevede un incremento di fondi disponibili per il biologico. Viene istituito il “Fondo per lo sviluppo della produzione biologica” (art. 9). Il fondo è costituito in quota parte su quanto ha già stabilito l’articolo 59 della legge 488 del 1999. Viene riproposto il prelievo del 2% sul fatturato dei pesticidi e dei concimi chimici di sintesi. Fino adesso queste risorse non sono state sufficienti per le necessità di un settore in crescita, che pone nuove domande di innovazione, organizzazione ed informazione.

Discordia sulle sementi locali
Una delle novità più positive del Reg. UE 848 del 2018 è stata l’introduzione del concetto di “materiale riproduttivo vegetale eterogeneo biologico”, che molto si addice agli ecotipi locali. La norma europea ha stabilito che tale “materiale” può essere prodotto e commercializzato prodotto e commercializzato senza rispettare i requisiti previsti dalla normativa sementiera, cioè senza limiti di quantità e di spazialità. Rispetto a questo il disegno di legge (art. 18) cita le disposizioni del Reg. UE 848, ma richiama subito dopo le norme sementiere e stabilisce limiti alla commercializzazione, che può avvenire solo in quantità limitate ed in ambito locale. Si pone così un forte elemento di contrasto e di confusione, che rischia di peggiorare una condizione già difficile per i produttori impegnati a tutelare e valorizzare il patrimonio genetico vegetale locale. Inaccettabile.

I bisogni reali che ancora non hanno risposte…
Da anni si aspettava una politica di elevati investimenti a favore della ricerca scientifica e dell’innovazione dei processi agrobiologici. Sono tuttavia urgenti anche norme che pongano un limite all’asfissiante e costosa burocrazia del sistema di controllo e delle norme di accesso diretto ai mercati da parte degli agricoltori, soprattutto quelli di piccole dimensioni. Vi è la necessità di riconoscere la produzione aziendale di compost e preparati naturali per la biostimolazione delle piante, che finalmente eviti ad un agricoltore biologico di essere denunciato di reato ambientale se tenta di compostare un letame sul proprio terreno. Si potrebbe inoltre parlare della necessità di tutela del produttore biologico che subisce contaminazioni dai prodotti chimici di sintesi utilizzati dagli operatori convenzionali. Viene ancora disattesa anche una regolamentazione della ristorazione collettiva biologica. E sarebbe ancora lunga la lista delle speranze deluse.

Una domanda per concludere. Perché un produttore biologico deve essere contento dell’approvazione di questo disegno di legge?

Maurizio Agostino (Rete Humus)

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